Vengo ricoverato il 7/7/14 alle 10:30 completamente a digiuno. Diagnosi “borsite ginocchio destro”. “La borsite al ginocchio, è la conseguenza dell’infiammazione della borsa sierosa. Tale borsa è collocata anteriormente e un po’ più in basso della rotula”. Adoro l’altisonanza dei termini medici. Già immagino di mostrare la cicatrice agli amici: “Ragazzi questa è di quando ho fatto la bursectomia” e di sentire l’eco del loro stupore.
Mi accompagnano in stanza. Mi siedo sul letto. Mi guardo intorno, sembra di stare in “Grey’s anatomy”. Mi sdraio. Un porta flebo, un enorme “testaletto”, sul comodino il telecomando del letto, camuffando la mia infantile curiosità con un serio interesse professionale, inizio a premere tutti i pulsanti. Il letto va su, poi giù, poi ancora su, poi…., poi arriva la caposala. L’operazione è fissata per le 14:00.
Verso l’una arriva, oltre alla fame, la prima telefonata. Dopo le solite frasi di circostanza, forse sarà semplice suggestione o l’odore di cucinato che viene dalla finestra aperta, chiedo: “Che mangi oggi?”. Lo so, “chi è causa del suo mal pianga se stesso”. Il mio interlocutore inizia una descrizione minuziosa, non soltanto, dell’intero menù ma anche della preparazione. Arrivato al dolce, fiumiciattoli di bavetta lungo le labbra, sguardo perso nel vuoto, ho visioni mistiche di “saint honorè”.
L’infermiere entra in stanza e mi sveglia dal trance, poi, posa sul letto un camicione verde trasparente, mi dice di spogliarmi e indossarlo. Nudo come un verme solo il camicione a coprirmi, mi stendo su un lettino con le ruote e vengo trasportato in una sala antistante la sala operatoria.
Arriva l’anestesista, bellissima donna dai profondi occhi scuri, il camicie operatorio non permette di vedere altro. Mi chiede di dargli il braccio e inizia a cercare la vena. Primo tentativo a vuoto. Secondo tentativo a vuoto. Cerco di sorridere con nonchalance.
-Però che brutte vene che hai.
-Strano, sapevo di essere bello… dentro.
Al terzo tentativo centra il bersaglio. Mi dice di girarmi, senza nemmeno un po’ di corte, mi scopre le natiche e inizia a forare. Anche qui tre fori, mi spiega che deve addormentare l’intero nervo sciatico. Inizio a sentire la gamba sempre più pesante, pesa una tonnellata, non riesco più a muoverla. Vengo portato in sala operatoria. All’interno l’equipe mi attende ascoltando musica. Viene voglia di ballare, se solo potessi farlo. Sento il chirurgo parlare di calcio, dai discorsi deve essere della Roma o della Lazio. Il chirurgo si avvicina:
-Di che squadra sei?
-Considerando che stai per operarmi, preferisco non rispondere alla domanda.
Una volta sul tavolo operatorio, iniziano a strappare il camicione dalla parte superiore, per attaccarmi ogni tipo di sensore. Sento i classici rumori dei macchinari, il bip intermittente mi ricorda quando la Dottoressa Torres dice a Meredith di fargli spazio per segare la gamba. Oggi il protagonista sono io. Strappano anche la parte inferiore del camicione per scoprire la gamba. Della lunga tunica verde è rimasta ormai solo una foglia di fico.
Il chirurgo inizia a cospargermi l’arto con un liquido color senape, sembra averne anche la stessa consistenza. La mia gamba è, ormai, un grande, appetitoso hot dog. A questo punto mi coprono la visuale con un telo verde. Se andasse tutto liscio il mio racconto potrebbe fermarsi qui, fortunatamente l’anestesia inizia a svanire prima del dovuto.
Comincio a sentire come spilli nella gamba. Faccio presente il problema, mi chiedono se posso resistere, annuisco. Il dolore continua, aumenta, sono certo di sentire il bisturi tagliare. Chiedo all’anestesista di agire, di fare qualcosa. I secondi passano sembrano eterni. Mi sedano. Non dormo, resto in uno stato di dormiveglia, sento tutto, vedo tutto, ma, da qui in poi, non ricordo più nulla. Mi sveglio alle 19:00. Al mio risveglio, vedo mio padre ed il dottore. Ammetto avrei preferito Belen Rodriguez e Alena Seredova, ma, ognuno ha quello che si merita. Il dottore si rivolge a me
-Non ho mai visto una cosa così grande.
-Si dottore lo dicono spesso.
-La borsite sembrava la testa di un neonato.
Era una palla dava fastidio, si in effetti, assomigliava ai nonni. Mi chiede poi se mi sono trovato bene.
-Si certo, spero di tornare presto.
Mai frase fu più profetica. Lunedì 21 ho partecipato alla seconda puntata. Mentre voi leggete questo articolo, io sto per essere dimesso dall’ospedale per la seconda volta, pronto per una nuova, entusiasmante convalescenza. Una sola cosa mi preoccupa, il proverbio: “non c’è due senza tre”.
Pubblicato da Scuola Omero il 22 Luglio 2014