Accessibilità: Immagine rettangolare in orizzontale. In primo piano la foto di un bicchiere di vetro con all’interno una bevanda alcoolica color arancione e cubetti di ghiaccio. Sull’orlo del bicchiere c’è appoggiato piccolo frutto tropicale rosso e due foglioline di menta piperita verde; in diagonale partendo da sinistra, che fuoriesce dal bicchiere, c’è una cannuccia bianca trasparente. Sullo sfondo si intravvede un tavolo da bar di legno marrone chiaro su cui è sposto un altro bicchiere simile a quello appena descritto. In alto a destra, un rettangolino bianco in verticale mostra la data di pubblicazione del racconto su questo sito: 15 Agosto 2019.
Ore 17:00. Finalmente al fresco. Sono abbandonato, con gli occhi chiusi, sulla poltroncina in finto vimini di questo bar. Braccia penzoloni e gambe distese, come se mi avessero appena sparato. In bocca sento il salato del mio sudore. Unico mio pensiero: tè freddo.
Sembra che abbia fatto la doccia vestito. Il venticello sui vestiti madidi di sudore, mi provoca un leggero brivido di piacere. Adesso i raggi del sole, filtrati dall’ombrellone color panna, sembrano quasi una carezza. Sono cullato come un bambino dal vento. Mi sento chiamare:
– Gabriele sei tu?
Riapro piano gli occhi e ti vedo. Sei tu? Non riesco a crederci. Come nulla fosse, continui a parlare e, senza chiedere nulla, ti metti a sedere di fronte a me.
– Da quanto tempo non ci vediamo?
Non rispondo, ma so benissimo da quanto non ci vediamo. Sono quasi tre anni. Ricordo quella sera. Torno dall’ufficio e come apro la porta vedo i tuoi vestiti sparsi per casa, come a tracciare un percorso. Immagino si tratti di una caccia al tesoro, alla fine avrò il premio. Raccolgo, uno a uno, gli indumenti: prima il vestito, le calze, il reggiseno. Sulla maniglia della camera da letto le tue mutandine.
Già ti immaginavo sinuosa, distesa sul fianco ad aspettarmi, immaginavo di accarezzare i tuoi lunghi capelli neri, di perdermi nei tuoi occhi blu… immagino il tesoro. Quando apro la porta, c’è quel panzone peloso, a divertirsi col mio premio. I vestiti mi scivolano dalle braccia. Guardo a terra forse per non vedervi, ai piedi del letto la collinetta dei suoi indumenti, spicca sulla vetta un mutandone bianco degno di un lottatore di sumo.
Ancora a cavalcioni su di lui, ti fermi un attimo, mi guardi:
– Ormai siamo troppo distanti.
Effettivamente, lui ti stava molto più vicino di me. Il tuo sguardo sembra dirmi: “Qui abbiamo ancora tanto da fare”. Mi sento esplodere come un vulcano, ma non riesco a dire nulla, come telecomandato indietreggio fino alla porta ed esco.
A vederti adesso, sembra ti sia mangiato un elefante, i tuoi occhi non sembrano così blu e i capelli non sono più tanto neri.
Il cameriere arriva al tavolo:
– Signori cosa vi porto?
Non faccio in tempo ad aprire bocca che tu:
– L’aperitivo speciale e due Spritz.
– Subito signori.
Mentre il ragazzo si allontana, tu facendomi l’occhiolino:
– Ricordo ancora che amavi lo Spritz.
– I gusti possono cambiare.
Guardo l’ingresso del bar. Attendo il cameriere come si attende il chirurgo fuori dalla sala operatoria. Voglio solo bere e andare via.
Tu invece parli: del tuo lavoro, della tua nuova vita, di quanto sei felice. La tua voce che ricordavo musicale come quella di una sirena, ora mi sembra quella di un ambulanza, stridente come il gesso sulla lavagna.
Spengo l’udito e ti vedo solo muovere la bocca. Sembra di guardare un vecchio film di Chaplin, sopra le labbra rosse, mi sembra quasi di notare l’ombra dei tuoi baffetti.
Finalmente vedo il cameriere. Trascina un carrellino. Oltre agli Spritz, ci sono vassoi stracolmi di roba: panini, tartine, olive, patatine e mignon. Sembra debba mangiare un esercito.
Arrivato al nostro tavolo, incastra uno dopo l’altro i vassoi, sembra una partita a Tetris. Non c’è spazio nemmeno per respirare.
– Il vostro aperitivo. Buon appetito.
Poi va via. Non ho nemmeno il tempo di prendere una tartina che inizi a cacciarti in bocca panini, olive e patatine a catena di montaggio. Scoppio a ridere. Tu con la bocca ancora piena:
– Che ridi?
– No niente.
Come dirti che l’anno scorso, parlando di te a un amico, dissi:
– Era sexy anche quando mangiava.
Il cameriere ti guarda con gli occhi sgranati, mentre spazzoli uno dopo l’altro i vassoi. Faccio cenno di portarli via. Finge di non vedermi, guarda per aria e fischietta.
Credo che abbia paura. Forse pensa che nell’allungare il braccio per prendere i vassoi, nella foga, tu possa addentarglielo. Indisturbata continui a mangiare. Ti avventi su quelle innocenti tartine come un leone sulla sua preda. Mentre vedo le tue mascelle lavorare come schiaccia sassi e il cibo quasi uscirti dalla bocca, penso: “È proprio vero, i gusti possono cambiare”.
Pubblicato nel Blog Le Meraviglie a Luglio 2015