La prima operazione non ha dato i risultati sperati. Che culo! In seguito all’intervento di bursectomia, si è formato un ematoma da svuotare con un secondo intervento.
21 Luglio, il fatidico giorno è arrivato, oggi mi riapriranno. Mi sento come la tela di Penelope. Arrivo in ospedale, la porta automatica si spalanca, attraversando il lungo corridoio, mi sembra di sentire The Final Countdown degli Europe, come Rocky schivava le arance, io schivo barelle e portantini. Io contro il chirurgo, ne resterà soltanto uno…. Speriamo non sia lui.
Salgo al reparto d’ortopedia, mi hanno assegnato la stessa stanza, ormai sono un abituè. Mi avvio per prenderne possesso, un percorso ad ostacoli, ad ogni passo personale paramedico che mi saluta, mi chiede come mai ancora li. Io spiego, poi si congedano con un: “Sono contento di vederti. Auguri”. Io sono molto meno contento di vederli, nulla di personale, poi auguri? Se la mie mani non fossero così occupate a stringere stampelle, lo sarebbero altrove.
In stanza mi sdraio sul letto, vorrei riposare prima dell’intervento. Dopo poco la caposala entra, mi avverte che l’intervento sarà nel pomeriggio, mi guarda la gamba e con sguardo schifato: “No, no questa è da depilare, manderò qualcuno”. Il tempo passa, quando ormai penso si sia dimenticata, un’infermiera, bionda con vistosi baffi neri, armata di lametta e schiuma da barba, entra in stanza. Guarda la gamba “Si, hai proprio bisogno di una ceretta”.
Mi cosparge, delicatamente la gamba di schiuma, mi guarda. Si siede ai piedi del letto e mentre fa scorrere la lametta lungo la gamba, mi guarda ancora.
-Che begli occhi che hai, così profondi, parlano.
Non so se sia questa rivelazione, o la lametta vicino alla cicatrice fresca, sento un brivido gelido percorrermi la schiena, fortunatamente, mi portano in sala operatoria prima di poter approfondire. Finalmente rivedrò la mia anestesista, nell’attesa cerco di sistemare i pochi capelli rimasti in testa, poi infilo la cuffia verde.
Ma questa volta arriva un omone grosso, barba folta e bianca, non sapevo che Babbo Natale lavorasse come anestesista. Ho capito, di rimorchiare non se ne parla, non è il mio tipo. Potrei almeno chiedergli come mai non mi ha mai portato “l’allegro chirurgo”. Prende il mio braccio, stringe attorno un laccio emostatico, inizia a schiaffeggiami violentemente la mano, senza troppi complimenti mi trafigge la mano ed inserisce l’ago cannula. Faccio un salto, ormai per me toccare il cielo con un dito non è più un proverbio. Di corsa in sala operatoria. Mi rivestono il piede con un calzettone di plastica. Babbo Natale rivolto al chirurgo:
-Dimmi quando devo iniettargli l’anestetico.
-Sono pronto.
-Sì ma dimmi quando…
È a due centimetri dalla mia mano ma non si decide ad inserire quella cazzo di siringa. Fallo! All’ennesimo assenso del chirurgo finalmente inietta l’anestetico. Respiro profondamente, ancora ed ancora. Rivolgendomi all’equipe
-Non è che non f…
Nemmeno il tempo di finire la frase che cado in un sonno profondo. Vengo svegliato da Babbo Natale ad operazione terminata.
-Bello abbiamo fatto!
Bello?? Oggi deve essere la mia giornata fortunata, vado via come il pane. Vengo portato in camera, ad aspettarmi nel letto affianco un nuovo paziente. Dopo poco arriva il medico, provo ad allungare la mano per salutarlo, sento una fitta, una smorfia di dolore sul volto, ma resisto. Il medico rivolto verso di me
-L’operazione è andata bene. Ho spremuto il ginocchio, avevi tanta marmellata di ribes.
-Bhè erano le cinque, potevi farci merenda.
I calcagni mi fanno male, provo a girarmi sul fianco, il medico mi blocca, devo rimanere in posizione supina. Ho il drenaggio, non posso per nessun motivo girarmi, poi fa portare un pappagallo.
-Questo sarà il tuo migliore amico, finché non lo usi non mangi.
Sono a digiuno, a tale minaccia, non posso far altro che far conoscenza. Per creare più intimità decido di chiamarlo Lallo. Prendo il pappagallo, altra fitta alla mano, sento come se l’ago nella mano toccasse un nervo. I calcagni non smettono di far male. Dolore piccolo ma costante, una vera goccia cinese.
Non devo distrarmi, devo usare Lallo. Penso a ruscelli, fiumi ma nulla. Provo a concentrarmi a contare, nulla. Il dolore non mi abbandona. In quell’istante il mio compagno di stanza fa un lungo e profondo peto, direi un Do di peto. Fatico a trattenere la risata ma non trattengo l’urina. Adesso posso mangiare. Questa sera minestrina.
Che buona!! Ogni cucchiaiata, una fitta alla mano. Dopo cena mi attende una lunga notte, le ore passano il dolore no. Vedo albeggiare, vicino a me Lallo, che atmosfera romantica. Alle 08:00, quando ormai manca poco alle mie dimissioni, mi guardo in torno, nessuno passa, nessuno mi guarda, mi giro sul fianco per chiudere un occhio. Mentre sto per addormentarmi, arriva l’infermiera con i baffi.
-Ciao bello, volevo salutarti
Sorrido amaramente. Di quello che è successo poi c’è un solo testimone, Lallo.
Pubblicato da Scuola Omero il 29 Luglio 2014