Oggi è stata una bella giornata, così calda da far dimenticare di essere ad ottobre, l’ho passata con amici a Villa Ada. Quando il sole ha lasciato il posto al vento e all’umidità della sera, abbiamo deciso di tornare a casa. Eccomi, solo mi avvio all’uscita posteriore. Villa Ada ormai è quasi vuota, riesco a sentire il vento fischiare tra gli alberi, il rumore dei miei passi che calpestano le foglie cadute e le mie stampelle che, passo dopo passo, premono e lasciano un segno sulla terra umida. Improvvisamente mi fermo, un immagine attrae la mia attenzione.
Poco distante da me un cane lupo corre libero e il suo padrone, con il fiatone, lo rincorre, vistosamente in difficoltà arranca dietro di lui. Un guinzaglio attorno alla vita a fargli da cintura.
Cerco di trattenermi, una leggera risata sfugge al mio controllo e rompe il silenzio. Il cane mi guarda e digrignando i denti mi corre incontro. Sono pietrificato. Vorrei scappare, ma dove? E soprattutto… come?
Il cane con quattro zampate mi raggiunge. Si ferma di fronte a me e mostra minaccioso i denti, ringhiando. Il padrone corre verso di me urlando:
-Tranquillo è un cucciolone, vuole solo giocare.
Vorrei rispondere qualcosa, apro la bocca ma non riesco a emettere nessun suono. Il cane mi guarda fisso negli occhi, sempre più minaccioso, i denti sempre più in mostra, come a dire: “se te piglio, vedi che te faccio”. Avanza lentamente verso di me, io immobile. Non riesco a muovermi, mi sembra di avere i piedi inchiodati a terra. Il padrone si frappone tra noi due, mentre continua a dirmi:
– Tranquillo! Non farebbe del male a una mosca, vuole solo giocare.
Poi rivolto al cane: -Buono Attila, buono, è un amico.
Attila non sembra convinto e invece di calmarsi, cerca di schivare l’uomo. Nella consapevolezza di non essere una mosca, mi immagino già steso a terra, rotolando convulsamente dal dolore, mentre Attila addenta con gusto il mio polpaccio e il tizio, che assiste immobile alla scena, dice: ”Tranquillo! Adesso smette, vuole solo giocare”.
Questo pensiero mi gela il sangue, un brivido mi percorre la schiena, mentre il padrone mi fa da scudo umano e Attila cerca di driblarlo, come un attaccante fa col difensore, io mi allontano. Senza mai dare le spalle al mio nemico, indietreggio lentamente. Piano piano, senza dare nell’occhio, mi allontano. Con uno scatto Attila si libera dal padrone e corre verso di me, neanche il tempo di rendermene conto, mi ha già raggiunto. Il padrone completamente spiazzato lo insegue. Attila mi guarda e ringhia, posso leggere, chiaramente, nei suoi occhi rabbiosi: “ Mo so cazzi tua”.
Indietreggio ancora, ma qualcosa mi ferma. Alzo lo sguardo, un enorme albero, con grandi e robusti rami, si frappone tra me e l’uscita. Il cane fermo, ringhia ancora, come se aspettasse un mio errore, una scusa per aggredirmi. Alzo lo sguardo, come vorrei tornare primate, cancellare millenni di evoluzione darwiniana e salire su quest’albero.
In quel momento arriva il padrone e si mette nuovamente in mezzo, con voce concitata:
– Butta le stampelle, forse sono quelle che gli fanno paura.
Io le getto immediatamente e mi stringo al tronco dell’albero. Inavvertitamente, una delle stampelle sfiora l’orecchio del cane rendendolo ancora più furioso. L’uomo prende una delle stampelle e inizia a colpire ripetutamente la terra, come in montagna, quando si vuole allontanare le bisce.
– Basta, basta Attila! Buono, buono.
Intanto il cane mi guarda ancora più inferocito, sembra dire: “Vedi pe corpa tua, lui me vole picchià. Se ti piglio…”
Stretto all’albero, aspetto solo la mia fine. Si dice che quando arrivi la tua ora, vedi tutta la vita passarti davanti come in un film. Io non vedo nulla. Chiudo gli occhi e trattengo il respiro. Se non indolore, spero sia almeno breve.
Sento come un fischio, poi: pin, pan, pin. Dopo qualche secondo di silenzio, sento l’uomo urlare
– Attila! Attila! Come stai? Ti sei fatto male?
Riapro gli occhi e vedo Attila steso a terra, tramortito, una zampa sulla testa e tre pigne accanto a lui. Velocemente riprendo le stampelle rimaste a terra. L’uomo rivolgendosi a me con sguardo preoccupato:
-Secondo te è morto?
Mi avvicino circospetto al cane e con la stampella, gli assesto due leggeri, ma decisi, colpetti all’altezza dello stomaco. L’animale rantola di dolore.
-No! Tranquillo sta bene, vuole solo giocare.
Detto questo mi allontano prima che si riprenda. Il padrone è preoccupatissimo, da lontano lo sento dire:
– Ma che cavolo, mentre uno fa una passeggiata tranquilla, con il cane…
Pubblicato da Scuola Omero il 28 Ottobre 2014.