Accessibilità: Immagine rettangolare in orizzontale con sfondo giallo scuro. Al centro è stilizzata la sagoma nera di una stampella, posta in diagonale che parte da sinistra, e termina con il gommino in basso a destra. La parte superiore della stampella in alto a sinistra, termina in un cerchio che s’intreccia al centro con il cerchio, sempre nero, del simbolo della donna (simbolo astronomico di Venere, composto da un cerchio da cui pende al centro della parte bassa una croce). In alto a destra un rettangolino bianco in verticale con la data di pubblicazione del racconto su questo sito: 1 Febbraio 2020.
È l’estate dei miei 15 anni. È l’estate dei Backstreet Boys. Back for good insiste e mi insegue in ogni stazione. Sembra un’estate come tante: il solito pezzo estivo, io in vacanza con i miei al solito posto. Come al solito sono il simpatico del gruppo. Il simpatico è un po’ quello che ti fa ridere e divertire prima di incontrare la tua storia estiva.
Ecco sì, è come il chitarrista a un falò con la differenza che io non ho la chitarra e soprattutto non so suonarla.
Ma quest’anno nel nostro gruppo è arrivata V. Mora, occhi neri, pelle naturalmente olivastra che spiccava nel duepezzi bianco. E poi è pure maggiorenne. A ottobre andrà all’università. Ha una fila chilometrica, ci provano tutti o quasi.
In realtà l’unico a non provarci sono io. Del resto sarebbe inutile: quelli con le stampelle non vengono guardati, al massimo aiutati.
Certo, quando siamo in gruppo ride alle mie battute come tutti. Sì, forse lei ride anche alle più stupide. Quando la sbircio con la coda dell’occhio nel tentativo di guardarle il seno, V. già mi sta guardando. Subito distolgo lo sguardo.
Non lo so. Penso: “Forse ha capito qualcosa… cazzo se n’è accorta…”.
Quel pomeriggio la spiaggia dell’hotel è deserta: solo lei a prendere il sole di schiena sdraiata sul lettino e io poco distante.
Solleva piano la testa e nel poco spazio tra poggiatesta e parasole vedo i suoi occhi neri su di me. Mi fa cenno con la mano di avvicinarmi. Mi giro a destra e a sinistra per essere sicuro che si stia rivolgendo a me. Ma non c’è nessuno, solo io. Devo aver fatto anche una faccia strana come a dire: “Io? Ma sei sicura?”. Ma V. continua a indicare di avvicinarmi.
E così inizio ad avvicinarmi piano, anche perché farlo veloce per me sarebbe impossibile.
I capelli raccolti le scoprono il collo e con lo sguardo percorro lentamente la sua figura: la linea delle spalle, la schiena, le natiche. Scendo lentamente fin dove l’occhio ha accesso. Arrivato alle dita dei piedi smaltate di rosso, la ripercorro a ritroso con lo sguardo.
Per fare in modo che non se ne accorga faccio qualche battuta, le sue risate mi tranquillizzano.
Poi improvvisamente smette di ridere, mi porge la crema solare:
– Me la spalmi?
E sì, sono certo, in quel momento io sono morto. Sento il cuore fermarsi. La bocca si secca all’istante. Cerco di deglutire ma è inutile, è come il deserto.
Annuisco. Mi chino sul lettino. Inizio a versare la crema sulle sue spalle e poi a spalmare piano. Eseguo con le mani il percorso che fino a quel momento avevo fatto con gli occhi. Massaggio delicatamente le sue spalle. La sua pelle è morbida e calda o forse sono io ad avere caldo. Scendo delicatamente lungo la schiena. Il cuore mi batte fortissimo, mi sembra quasi di sentirne il rumore. Inizio anche a eccitarmi, ma stando in ginocchio riesco a camuffarmi sotto il lettino.
Arrivato al nodo del costume il mio cuore esplode quando Lei mi dice:
– Scioglilo.
Vorrei slacciare quel costume con sicurezza ed esperienza, ma la mano mi trema e non riesco ad afferrare il lembo del nodo.
Sciolto il costume davanti ai miei occhi si rivela una striscia sottile di pelle chiara. L’accarezzo delicatamente con la mano. Le mie mani lungo i suoi fianchi.
Quanto vorrei baciarle la schiena e scendere piano con le labbra fino a leccare l’incanalatura delle natiche e giù in fondo fino alla fine. Ma non posso, anche se la mia erezione non è d’accordo e ormai batte ripetutamente sul metallo del lettino.
Continuo a spalmarle la crema fin dove il costume mi consente.
Non ricordo esattamente come sia successo: so solo che con uno scatto felino Lei si gira verso di me, mi tira a sé e mi bacia.
La mia bocca chiusa, serrata.
Avevo sentito dire dagli amici che si potevano usare 2 metodi: lingua a pennello o lingua a mulinello.
Ma non avendo ben capito quando usare l’una o l’altra e non volendo sembrare imbranato decido di restare con la bocca chiusa. E Lei:
– Ma la voi aprì sta bocca?
Schiudo la bocca totalmente secca. Sento entrare di colpo la sua lingua, la sento muoversi dentro di me, sul palato, sulla lingua. Mi sembra di sentire il ruvido delle sue papille. Poi anche io muovo la mia lingua seguendo la sua. L’assaggio, ripercorro le sue labbra.
Mi sembra che il tempo si sia fermato, non voglio staccarmi, non voglio finisca. Poi una voce da lontano: V. si stacca di colpo e si ricompone, come se non fosse successo nulla. Cazzo ero a tanto così!
E sì, è stato qui che ho fatto la cazzata. Dopo quel bacio finalmente mi sento normale, anche io ho qualcosa da raccontare. E infatti è quello che faccio.
V. quella grande, quella che tutti vogliono ha baciato me.
Solo che non avevo considerato una cosa: nessuno del gruppo del mare mi ha creduto.
Ridono pensando a una delle mie battute, i più diplomatici si limitano a guardarmi con sospetto come a dire: “A cazzaro!!!”.
Ma certo, ci sono le mie amiche, mi conoscono da più tempo, certamente sanno che non dico cazzate. Mi diranno: “Non ci si comporta così”. Ma mi crederanno. Ricordo ancora il loro pesante silenzio e poi quella frase: “Ma non è che hai frainteso?”.
Ancora adesso non so come si possa fraintendere una lingua in bocca, ma erano tutti così convinti che non fosse successo nulla che anche io me ne sono convinto per un bel po’ di tempo.
Del resto si sa: quelli con le stampelle non vengono guardati, al massimo aiutati.
Racconto realizzato durante il corso di autobiografia erotica tenuto da Rossana Campo presso la libreria I Trapezisti
l’1 febbraio 2020
L’illustrazione di copertina è a cura di Luigi Annibaldi