Esco di casa per andare alla fiera della piccola e media editoria. Sto chiudendo la porta, quando l’ascensore si apre e ne esce il mio vicino di casa. Con una mano spinge un triciclo, con l’altra tiene la mano della figlia, una bambina di due anni con le treccine e gli occhi celesti.
Ci salutiamo e scambiamo le solite frasi di circostanza. Ad un certo punto, la piccola interviene ed indicandomi con il dito:
-Papà ma perché lui cammina così? Papà perché ha quelle cose?
É ovvio che si riferisce alle mie stampelle, potrei rispondere io alla domanda in qualche modo, anche se è molto piccola, poi penso: “Mi voglio proprio divertire… vediamo che dice…”
Lui fa finta di nulla e continua a parlare con me, la bambina lo tira ripetutamente per la mano ed alzando il tono della voce, per paura di non essere stata sentita, ripete:
-Papà… papà… papà perché lui usa quelle cose?
Non potendo più sorvolare, il padre liquida il tutto con un secco:
-Lui cammina così!
Poi, forse per evitare ulteriori domande, mi saluta velocemente ed entra in casa.
Mi avvio alla fiera. Intanto penso: “Io avrei saputo rispondere meglio alla domanda?”, “Cosa avrei detto io?”. Ci penso per tutto il viaggio, ci penso mentre giro gli stand, ci penso. Non riesco a smettere.
Quasi arrivo allo stand della scuola Omero, sento una mano picchiettarmi la spalla.
Certamente sarà qualcuno degli omerici che vuole salutarmi, penso. Mi giro. Vedo davanti a me un bambino di dieci anni al massimo, biondo riccioluto e con occhi azzurri accesi. Praticamente un cherubino. Sembra lì da solo, mi guardo intorno, cercando di individuare nella folla: un genitore, un amico, ma non vedo nessuno. Mi guarda e un po’ titubante mi dice:
-Posso farti una domanda?
-Certo dimmi pure
Guardando le stampelle mi chiede:
-Come mai cammini così?
E adesso che gli dico?, come spiegare ad un bambino la paraparesi spastica? Anche se, spesso, credo di essere più affetto da paraculesi, una risposta devo dargliela. Se dicessi la verità? “É un difetto neurologico non ereditario”. No… troppo lungo e poi… che palle!
Gli rispondo solo:
-Sono nato così.
Sbarra gli occhi e sbigottito
-Sei nato con le stampelle?
A queste parole immagino mia madre in sala parto, distesa sul lettino in travaglio, sudata che urla di dolore, il ginecologo in fondo al lettino ripete insistentemente:
-Signora spingaaa… spingaaaa…
Mia madre che spinge, urla e spinge:
-Signora sta per uscire, adesso è lui… Eccolo!… No!… É un’altra stampella…
Dall’immagine suggestiva, mi rendo conto che il ragazzo forse non ha capito e mi spiego meglio:
-Uso le stampelle perché senza non cammino, ho questo problema da quando sono nato.
Non sbarra più gli occhi. Mi guarda con attenzione, non vuole perdersi nessuna delle mie parole, vuole capire.
-Che vuol dire non cammini bene? Questo lo riesci a fare?
Alza la gamba distendendola perfettamente, invitandomi a fare lo stesso. Io so di non riuscire a farlo, ma ci provo lo stesso.
Alzo la gamba, mi sforzo, ma non riesco a distenderla. Lui mi guarda dubbioso:
-Dai! Riproviamo insieme.
Alza la gamba, io faccio lo stesso. Davanti allo stand di Omero sembriamo le gemelle kessler, sto quasi per intonare dadaumpa, quando… mi fa un’altra domanda:
-Ma da bambino giocavi con gli altri, avevi amici o eri solo?
Cazzo! Ma ‘sto ragazzino… tutte domande difficili!
Lo guardo, è in attesa della mia risposta, mi fissa con i suoi occhi azzurri, attento, come se la cosa, in qualche modo, riguardasse anche lui. Vorrei dargli la risposta “giusta”.
-Bisogna scegliere bene con chi giocare. Bhé… se qualcuno non voleva essermi amico, non mi preoccupavo, ne trovavo altri. Bisogna solo crederci.
Lui mi guarda affascinato annuendo ritmicamente con la testa, sembra ipnotizato, pende dalle mie labbra. Mi sento troppo fico! Nella foga del momento alzo il tono di voce e con tono mistico
-Bisogna crederci! crederci sempre!
Lui spalanca ancora gli occhi, ma ora leggo il terrore nei suoi occhi, indietreggia qualche passo e poi:
– Sì, sì, sì, ci credo, ci credo.
Poi ritorno in me e rido, lui fa un grande sospiro, sembra sollevato, ride con me. Mi dice grazie, saluta con la mano e si allontana.
Non so se ho risposto alle sue domande, ma sembra soddisfatto. Continua a salutarmi, lo seguo con lo sguardo, fino a vederlo sparire tra gli stand.
Pubblicato da Scuola Omero il 23 Dicembre 2014